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Data Driven Design. Data Informed Design. Big Data Analysis. Data Visualization. Non serve continuare: i dati sono diventati la cifra (sic!) di questa decade. Tutto è iniziato online, nell’universo virtuale in cui si svolgono metà – o tre quarti? – delle nostre attività quotidiane. Ma con una certa rapidità i dati sono penetrati anche nella realtà, cambiandone la percezione e le modalità di progettazione.
Un esempio? Sei seduto in soggiorno, iPad in mano, cerchi online un nuovo divano. Fai domande a Google e prendi numerose micro-decisioni, fino alla più importante: hai scelto il divano. Tutto questo si traduce in dati. Dati che ora servono per progettare e disegnare il prossimo divano sul quale, nell’intenzione del progettista, ti rilasserai iPad in mano. E sì, questa è una storia vera.
Per Rodolfo e per Sofia, i due arredi prodotti da ThESIGN, è stato così – ma non così semplice. LOVEThESIGN ha accumulato dati e informazioni grazie alla propria community di design lover, ha passato molto tempo ad analizzarli e poi li ha messi sul tavolo di un designer, Davide Negri, che ha saputo progettare prodotti realmente nuovi e piacevoli che – in verità – sono poi piaciuti molto. Data Informed Design. O, forse, Data Informed Designer.
La domanda rimane: oggi è tutto così semplice con i dati, anche per l’home design? Si può predire il futuro e rivoluzionare il mercato con questa facilità? Basta essere in possesso dei dati? Non proprio. Per iniziare, ci sono tre elementi da conoscere.
Non pensare che i dati siano solo numeri. O meglio, i dati da considerare non sono solo i numeri di analytics. Quelle cifre raccontano molto, ma non tutto. Dicono quali azioni compiono le persone, ma non perché lo fanno. O perché non l’hanno fatto.
Ci raccontano che quattro persone su dieci preferiscono una particolare libreria. Ma non dicono cosa si aspettavano di trovare, oppure come li fa sentire. I numeri vanno incrociati con altri dati, che solo a volte sono numeri, altre volte sono comportamentali e altre volte ancora sono semplicemente delle parole.
Quindi? Non pensare ai dati come a semplici numeri. E alza la testa da Google Analytics per guardati attorno.
I dati non sono la verità oggettiva. Non sono tutto quello che succede e non rappresentano come le cose vanno, ma solo come funzionano alcuni aspetti di ciò che ho preso in considerazione. C’è sempre un margine di errore. Fosse solo perché i dati da raccogliere e il modo di analizzarli è sempre pensato e progettato da una persona. Che ha fatto delle scelte. Con un proprio punto di vista. È così: anche dietro Google ci sono degli essere umani in carne e ossa. Per ora.
Presentare i dati sotto forma di cifre e non in modo discorsivo, o con un disegno, può trarre facilmente in inganno. Anche la realtà sembra un’equazione esatta se spiegata con una formula fisica. Ma è solo un’interpretazione. Le formule con il tempo cambiano e il più delle volte quelle prima non erano sbagliate, ma solo parziali. Non farti ingannare.
Anno 2009, Douglas Bowman, il visual designer di Google, abbandona la società. Dice che non ha più spazio per pensare, per essere creativo, innovativo. Il data-centrismo di Mountain View sta mortificando il ruolo dei designer. “Un team a Google non può decidere tra due tipi di blu: si testano 41 sfumature di ognuno dei due per capire quale performa meglio.”
Una deriva che subito sembra affascinante, ma poco dopo diventa angosciante. Anche perché i dati sono sempre e solo rivolti al passato. Possono dirti che è un passato vicinissimo a noi, quasi in tempo reale, ma i dati non possono parlare del futuro: sono le analisi a farlo. Profezie basate su modelli, pattern e trend che sono modelli, pattern e trend di dati del passato.
Per questo i dati sono ispirazione, informazione, ma non innovazione. Deve ancora esserci un Douglas Bowman per creare qualcosa di davvero nuovo, e per questo con ThESIGN c’è Davide Negri. Perché lo strumento dell’innovazione è la creatività, non sono i dati.
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