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Lo smartphone sul cuscino: dalle app per il sonno alle sveglie smartlight

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Sai quante volte mi sono sentita chiedere:
— Davvero tu lavori per una start-up? Quindi siete tutti vestiti in tuta, potete mettere le pantofole in ufficio, fate mille feste aziendali e lavorate sdraiati su dei pouf?
— Mmm… più o meno.
Secondo il vocabolario Treccani, con il termine Startup si fa riferimento alla fase iniziale e di sviluppo di nuova impresa, nata principalmente nel settore internet o delle tecnologie dell’informazione. Dopo cinque anni dalla creazione, un’azienda non può più essere definita come Startup.
Allora come mai talvolta vediamo questo termine associato impropriamente ad aziende colossi del settore tecnologico? Uber, Google, AirBnb, Houzz e Spotify sono Startup? Beh direi proprio di no.
Tutte queste aziende però sono quelle che si definiscono Tech company e condividono tra loro - e con la maggior parte delle aziende che noi definiamo Startup - un modo innovativo e rivoluzionario rispetto al passato di concepire lo spazio lavorativo, i propri dipendenti e la distribuzione del lavoro da svolgere.
Da dove viene questo nuovo modo di vedere il mondo? Dalla Silicon Valley, dove nacquero le prime Startup tecnologiche, che ora sono diventate Google, Apple, Twitter… Ne hai mai sentito parlare?
Ecco che quindi l’associazione di cui parlavamo all’inizio non sembra poi così assurda.
Una volta ho fatto uno stage in una grossa multinazionale vecchio stampo, un passo necessario nella mia mente di ex Bocconiana per capire come gira il mondo. Non mi sono mai sentita inutile come in quel periodo e direi che di fotocopie ne ho fatte parecchie, mentre di caffè non ne ho rovesciato nemmeno uno.
Dopo qualche mese di caffè, fotocopie e vestiti scomodi, sono passata a lavorare per una realtà più piccola, una Startup. È stato in quel momento che ho capito che, quando si lavora tutti per un obiettivo comune ben definito, è più facile sentirsi protagonisti e apprezzati per quello che si fa ogni giorno.
Mi è capitato di scrivere un articolo per Pianoprimo mentre rispondevo al telefono del customer care. - Buongiorno, sono Alessandra, in cosa posso esserle utile? - In tutto ciò io ufficialmente lavoro nel team marketing e mi occupo di partnership.
Follia? No, ma in un’azienda di questo genere bisogna avere un buon grado di flessibilità perché ogni giorno è una nuova sfida: se il tuo collega programmatore ha bisogno di una mano, ti sederai al tavolo degli IT, non c’è scampo. In realtà non ti lasceranno mai toccare il codice: flessibili sì, ma sul lavoro non ci si improvvisa!
Quali sono allora i pro? Acquisisci nuove skill, hai una visione più ampia del lavoro che fai, puoi scoprire di avere una vena creativa quando invece per anni sei stato convito di essere portato per il commerciale e, soprattutto, non ti annoi.
I contro? Ogni tanto io un po’ di confusione la faccio:
— Elisabetta chi, la grafica?
— Ma non è più grafica, ora si è spostata nel Marketing
— Ah… Elisabetta del Marketing allora.
L’altra sera ero a fare un aperitivo con Rebecca, la mia amica di sempre, dopo una giornata di lavoro. Lei vestiva un elegante tailleur nero e tacchi a spillo, io una felpa grigia e delle Nike ai piedi. Rebecca lavora per una rinomata società di consulenza, io lavoro da LOVEThESIGN, frizzante startup in crescita.
Si dice che l’abito non fa il monaco, ed è forse per questo che la nuova filosofia lavorativa sostiene che non sei un bravo lavoratore solo se hai la giacca e la cravatta, ma anche se porti le sneakers ai piedi. Comfort è la nuova parola d’ordine? Io credo di si.
Il venerdì è Casual Friday: nell’ufficio di Rebecca si possono mettere i jeans e abbandonare i colori scuri, da Google si può mettere il pigiama.
Quando vige un’atmosfera rilassata, si lavora tutti per un progetto comune e l’età media si aggira intorno ai 32 anni, anche se non vuoi o pensi che sia sbagliato mischiare lavoro e amicizie, dopo un mese di lavoro ti troverai al karaoke con i tuoi colleghi e il tuo capo a cantare con le lacrime agli occhi Gli anni degli 883. Mentre starai sorseggiando un gin tonic, ovviamente.
In fondo i colleghi sono quelle persone con cui passi 8 ore al giorno ogni giorno, perché non provare a essere amici? Lavorare non dovrebbe essere solo come un obbligo, ma anche un piacere. La strada potrebbe essere questa.
Qualche giorno fa, una mia amica che lavora per una storica azienda italiana mi raccontava che i dipendenti occupano un intero palazzo di 6 piani e che ogni piano denota il grado di importanza e il team di appartenenza. Se stai al piano 1 non vali nulla, se stai al piano 6 sei il boss. Ogni piano inoltre ha tante scrivanie, divise l’una dall’altra da separè.
Io lavoro in un open space, forse un po’ rumoroso talvolta - soprattutto quando la tua collega di fianco decide che è tempo di ascoltare a tutto volume la hit del momento - ma anche stimolante.
Quelli della Silicon Valley sono stati i primi ad abbattere i muri. Google, Yahoo, eBay, Goldman Sachs e American Express sono tutti della stessa idea. Il capo di Facebook, Mark Zuckerberg, ha chiesto al famoso architetto Frank Gehry di progettare il più grande ufficio open space del mondo, perché potesse ospitare quasi 3.000 ingegneri tutti insieme. Quando faceva l’uomo d’affari, Michael Bloomberg fu uno dei primi ad abbracciare la filosofia dell’open space, dicendo che promuoveva equità e trasparenza.
Non si è ancora capito se l’open space aumenti la produttività o meno, un gruppo di scienziati dice una cosa e l’altra parte dice l’opposto. Io lo trovo un bell’ambiente.
Fondamentale è inoltre avere degli spazi in comune in cui poter socializzare, mangiare e passare del tempo insieme. Il pranzo alla scrivania dovrebbe essere assolutamente off limits.
Se poi lo spazio in cui si sta è arredato al meglio, colorato e ha a disposizione dei pouf su cui sdraiarsi, ancora meglio. Ma forse, in questo siamo di parte.
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