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Una volta, le primavere erano mosse da eventi (e ideali) ben più importanti di una tempesta di neve proveniente dalla Siberia.
Per esempio il 22 Marzo di 50 primavere fa, proprio a quest’ora, saremmo stati attaccati a un vecchio televisore a tubo catodico per seguire febbrilmente quello che succedeva un po’ più in là oltre le Alpi, a Parigi.
Cominciava una stagione che avrebbe cambiato per sempre la società: era il 1968.
Gli omicidi di icone del popolo come Kennedy, Malcom X o Martin Luther King, la crisi del partito Democratico, la guerra in Vietnam: sono solo alcuni degli avvenimenti che hanno aperto, a partire dagli anni Sessanta, una strada nuova alla contestazione giovanile, ai movimenti sociali e alla rivendicazione dei diritti umani.
La repressione genera sempre una reazione culturale – e quella era una decade in cui l’espressione artistica aveva raggiunto picchi notevoli.
Erano gli anni della ribellione ai vecchi, restrittivi canoni e di un irrefrenabile bisogno d’aria fresca. Gli anni che avrei voluto vivere da ventenne.
Idealista, romantico, appassionato, fresco: definirei così il 22 Marzo 1968, passato alla storia per un motivo banale agli occhi di uno studente del 2018, ma esplosivo in quell'epoca un po’ frigida. Nelle residenze universitarie, i ragazzi rivendicavano il diritto di dormire nelle stanze delle ragazze.
Quel 22 Marzo, nell’ateneo di Nanterre, 300 studenti guidati da un appena 22enne Daniel Cohn Bendit utilizzarono l’oppressione sessuale come pretesto per ribellarsi su tutta la linea.
Questi ragazzi, infatto, avevano la necessità di manifestare un disagio più profondo, quello nei confronti di una Francia conservatrice sotto le pressioni del Papa e del generale Charles de Gaulle, contrapposta a una società in pieno boom economico post-guerra.
Il 22 Marzo è stata la scintilla incendiaria di un focolaio che aspettava solo di bruciare, trasformato in poco tempo nella ben conosciuta Primavera Francese.
Che sia successo in Francia non è un caso: i Francesi, storicamente, fanno della polemica la loro arma e della rivoluzione il loro credo.
Non stupisce quindi che proprio loro, in maniera del tutto naturale, siano diventati i discendenti diretti dei movimenti studenteschi americani, che solo pochi mesi prima inneggiavano al Flower Power come atto di protesta contro Nixon e la guerra del Napalm e dell’Agente Orange.
Questi ragazzi chiedevano solo un diritto: essere se stessi. Non gli è stato concesso, e se lo sono presi con le cattive maniere. E l’aspetto straordinario del ‘68 è che si è svolto tutto in fretta, incredibilmente veloce, nonostante l’assenza di internet e social network: segno evidente che era un gesto necessario.
Il tutto, con lo spirito che caratterizza da sempre i nostri cugini d’oltralpe: la classe.
Quindi, si rivoluzione, ma con stile: immortalati nelle fotografie non vedrai jeans, barbe o camicioni come per i giovani sessantottini americani, ma giacche in tweed, il colletto a punta della camicia ben abbottonato, gonne a tubino, capelli lunghi e curati con il basco ben calzato, un bicchiere di pastis in una mano e la sigaretta accesa nell’altra.
Hai visto l’ultima campagna pre-fall 2018 di Gucci? Te la consiglio se vuoi immergerti nella Francia di quei mesi, ben lontana dai cliché della Ville lumière.
In nessun altro Paese una ribellione studentesca fece quasi crollare un governo (ma, come dicevo, in questo i Francesi sono bravissimi), e in nessun altro Paese una ribellione studentesca portò a una rivolta operaia.
Cosa ci rimane di quel ‘68, oggi? C’è chi dice che gli évènements de Mai scatenarono l'individualismo e l'ultra-capitalismo dei decenni successivi. Ma che importa? La cultura aveva comunque vinto. Viva!
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