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Conversazioni su Rodolfo: Paolo Giachi e l’architettura flessibile
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Conversazioni su Rodolfo: Paolo Giachi e l’architettura flessibile

Gli esordi per una catena di hamburger, un passato in Asia e un presente tra retail d’alta moda e residenze di lusso: l’architetto Paolo Giachi conosce il valore flessibile dell’architettura. ‘A volte’, spiega, ‘va perfino più veloce delle persone’. 

Nato in Toscana, oggi vive e lavora tra Milano e la provincia di Siena, e continua ad aspirare la ‘c’. L’italianità, dopo tutto, è all’origine del suo marchio di fabbrica, la capacità ‘tipicamente europea’ di far convivere l’artigianato e l’innovazione. 

Ed è stata determinante nell’evolversi della sua carriera: fu anche per la sua italianità che Patrizio Bertelli, patron di Prada, gli affidò la realizzazione delle boutique in Asia negli anni ’90. 

Paolo Giachi sul divano modulare RodolfoL'architetto Paolo Giachi sul divano modulare Rodolfo, all'interno dello showroom SANTA SOFIA 27.

All’inizio della sua carriera ha vissuto e lavorato per 5 anni in Asia, sviluppando progetti nell’ambito del retail per Prada, MiuMiu e Jil Sander.

Dopo la laurea in architettura a Firenze il mio primo, vero lavoro fu in Italia, per il marchio Burghy, quello che poi che sarebbe stato acquisito da McDonald’s: progettavo gli arredi e l’organizzazione delle aree gioco per i bambini. 

Poi ci fu questo incontro fortuito con Patrizio Bertelli: ci univa la toscanità. Lui è sempre stato un sostenitore di talenti ‘a chilometro zero’. E a fine anni ’90 mi chiese di partire per Hong Kong per dirigere i lavori nelle boutique di quegli straordinari marchi dell’alta moda europea. 

Qual è stato l’impatto di questa esperienza di vita in Asia sulla sua architettura successiva? 

Dal punto di vista stilistico mi ha affascinato l’aspetto minimale, più che altro del Giappone. 

Io vivevo a Hong Kong, ma ho girato parecchio. Non sono rimasto troppo impressionato dalla Cina o dal sud-est asiatico dal punto di vista del design, anche se nel complesso quegli anni mi hanno cambiato la vita.  Ne sono derivate un sacco di opportunità. 

Il retail è rimasto fondamentale nella sua carriera. Il suo studio ha realizzato il primo digital fashion shop, l’HM store a Odessa, in Ucraina. In sostanza, un negozio d’abbigliamento con degli schermi al posto dei vestiti. Ci racconta le sfide di un progetto così pionieristico? 

L’idea di questo imprenditore è certamente pionieristica: la prima fashion boutique completamente digitale, uno spazio senza merce. È un esperimento, una scommessa, perché il brand possiede molti punti vendita ma lui ritiene che una parte del business crescerà in una certa direzione.

Il negozio è quindi più un punto di ritrovo, dove puoi acquistare ma anche bere un drink. Dopo tutto, oggi vendere è quasi secondario, la priorità è far parlare uno spazio, far parlare di uno spazio.

Il problema dell’architetto è un po’ quello del DJ: non limitarsi semplicemente a far girare bella musica, ma il prossimo disco e il prossimo ancora. Devi sempre far girare dischi nuovi. 

E questo come complica il lavoro dell’architetto? 

Oggi per avere successo non è sicuramente più sufficiente essere bravi designer. Il lavoro oggi non è più chiudersi in una stanza e inventare un bel divano, è anche ascoltare quello che succede, partecipare, far parlare di te. 

Uno dei miei due figli ha 17 anni e vive a Tokyo: mi critica costantemente, vede già vecchio il mio modo di fare, agire, parlare. Lui mi racconta quel che succede. Io faccio tanto esercizio di ascolto.

L’architettura deve crescere con la cultura delle persone. 

Helen Marlen_OdessaLo showroom HM.com a Odessa

'L'emozione viene dal contrasto'

Il rapporto con la tradizione artigianale italiana è una cifra stilistica dei suoi lavori. 

Amo l’artigianato italiano. Sono cresciuto a Firenze, in una casa piena d’arredi d’antiquariato. Mia mamma ne era appassionata. Di conseguenza per me è normale pensare che tutto quello che ha un passato ha un fascino, un sapore di lusso e preziosità. 

Poi l’architetto contemporaneo ha bisogno di mettere insieme l’antico con il nuovo. Casa mia, ad esempio, è piena di cose nuove accostate a cose vecchie. 

Ce la può descrivere? 

È ispirata a un principio: il contrasto valorizza gli oggetti. Il contrasto mi emoziona, e la mia casa ne è piena. Il tavolo della sala da pranzo è un pezzo d’antiquariato fiorentino di metà ottocento, che ho manipolato a mio piacimento, dandogli una allure contemporanea. 

Attorno al tavolo ho disposto delle sedie moderne. Sopra c’è un lampadario moderno. Ma i bicchieri da portata sono vecchi. 

È un gioco di equilibri: riuscire ad arredare uno spazio con oggetti diversi che stanno bene insieme e hanno qualcosa da raccontare. Casa mia è piena di cose che hanno una storia, associate a un viaggio o una persona. 

Ad esempio? 

Molti degli oggetti di antiquariato vengono dalla casa in cui sono cresciuto. Da quando mia mamma non c’è più li ho inseriti nel mio arredo. Prima non mi piacevano, adesso, in un contesto ‘contrastato’, li amo e mi emozionano. 

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