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Cosa si nasconde dietro un coniglio? Intervista a Stefano Giovannoni
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Cosa si nasconde dietro un coniglio? Intervista a Stefano Giovannoni

La notte prima di incontrare Stefano Giovannoni l’ho trascorsa sveglio. Internet è una rete senza fondo e sotto la superficie della prima pagina dei risultati di Google, Giovannoni non parlava più di design come ricerca estetica, ma di riflessioni astratte e riferimenti intellettuali: il superamento della dialettica tra cultura e commercio, l’oggetto come merce e consumo. 

Di domanda in domanda, di link in link, leggevo altre interviste rinunciando divertito a qualche ora di sonno notturno. Giovannoni citava Jean Baudrillard (il teorico del postmoderno che scrisse Comunicare? Comunicare? Solo i vasi comunicano) mentre disegnava prodotti ammiccanti e seducenti per il grande pubblico: schiaccianoci, porta stuzzicadenti e sedie a forma di animale. E io mi domandavo: cosa nasconde quell’uomo dietro un coniglio? 

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Cosa pensa un progettista metanoico?

Lei è stato definito da Alberto Alessi un progettista metanoico. Ho cercato la definizione online: deve sapere che lei è anche l’unico progettista metanoico. L’unico al mondo. Lo chiedo direttamente a lei: che cos’è un progettista metanoico? 

Sì, è vero, metanoico è la definizione di Alberto Alessi. Progettisti metanoici e paranoici. Diciamo che i designer paranoici procedono sulle proprie convinzioni, convinti di se stessi. I metanoici, all’apposto, cercano sempre di confrontarsi e di trovare una sinergia con il mercato e con il mondo dei consumi. È quello che ho cercato di fare io e che Alberto Alessi ha cercato di descrivere.

shooting LOVEThESIGN x QeebooLOVEThESIGN x Qeeboo

Stefano Giovannoni è nato a La Spezia, si è laureato a Firenze, da tempo vive a Milano. Durante la sua carriera ha fondato e sciolto un movimento (il Bolidismo) ma, soprattutto, ha lasciato un profondo segno in Alessi e in Magis. E nelle case di milioni di persone. L’hanno chiamato il Re Mida del design e la sua splendida casa-studio su quattro livelli con terrazza nel design district di Tortona sembra confermare l’appellativo.

C’è chi vede nelle sue opere un riflesso di Jeff Koons: l’erede Warhol, l’artista che cerca, stimola e ottiene il consenso del pubblico. L’artista metanoico. Hanno ragione?

Jeff Koons è un grande artista ed è stato anche uno dei miei riferimenti ma, anche se entrambi abbiamo disegnato un coniglio, l'affinità non è negli aspetti superficiali: è avere un concetto come punto di partenza. L’operazione di Jeff Koons è quella di traslare un oggetto gonfiabile in uno d’acciaio. Il concetto dietro la mia opera è un coniglio trasformato dalle sue stesse orecchie in una sedia. Non credo siano operazioni così paragonabili.

Potremmo dire che entrambi ma in modo diverso vi divertite sul confine tra arte e design.

Sì, certo. Perché se non fosse in modo diverso si potrebbe dire lo stesso, al contrario, di Takashi Murakami, uscito dopo i miei prodotti più eclatanti degli anni Novanta, quelli vicini al mondo del fumetto e della science-fiction. 

Cosa si nasconde allora dietro un coniglio?  

Mi interessa prevalentemente l'aspetto concettuale del progetto: in questo caso le orecchie che diventano lo schienale della sedia. Non avrei mai disegnato un gatto che diventa una sedia. Se io disegno un oggetto con la forma di un animale non è per disegnare l’animale. È un gioco tra funzionalità e struttura. 

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Il ludico è ovunque, fin nelle scelte di una marca di detersivo in un supermercato
Jean Baudrillard, Il sogno della merce

In tutti i progetti che ho fatto, anche i primi oggetti per Alessi, c'è sempre una differenza netta dal mondo dei gadget. Non sono mai prodotti fini a se stessi. Lo schiaccianoci ha la forma dello scoiattolo, ma se giri le orecchie schiaccia la noce. O la fruttiera-pianta, Fruit Mama: anche nella scelta del soggetto e del nome ci sono degli ingredienti di questo gioco. 

LOVEThESIGN x QeebooLOVEThESIGN x Qeeboo

Lei ha detto: ho cercato di capire i desideri latenti del pubblico per soddisfarli. I miei studi in antropologia conferiscono un senso specifico all’espressione desideri latenti. È lo stesso per lei?

Oggi il pubblico non cerca più l'oggetto di design caratterizzato da un particolare, da un dettaglio. Oggi viviamo in un mondo saturo di oggetti e il pubblico vuole dei segni forti, dei prodotti che abbiamo veramente una caratteristica di comunicazione immediata, che si distinguano da tutto il resto. 

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Dall’Ikea alle aziende di design più sofisticate c'è un continuum che non ha soluzione di continuità.

Forse è questo che il pubblico percepisce: le caratteristiche diventate omogenee. In un mondo mediatico dove il virtuale e la comunicazione sono sempre più importanti, il pubblico chiede qualcosa di più forte, di più connotante, un gesto esplicito. 

La sedia-coniglio? 

Sì, anche. Perché cerca qualcosa che dia identità anche alla sua casa e alla sua persona. C'è un bisogno di identificazione con gli oggetti e non è più il Good Design piccolo borghese o medio borghese a rispondere a questa domanda ma al contrario è la volontà di distinguersi dalle vecchie categorie. È una richiesta un po' più evoluta e sofisticata. 

Qualcosa che si colloca all'interno di una più ampia – esasperata ricerca di identità?

Certo. Compriamo certi oggetti perché vogliamo creare un legame con loro, qualcosa che costituisce la nostra identità agli occhi degli altri. Io espongo in casa una serie di oggetti e indosso un certo tipo di vestiti e compro una certa automobile invece di un'altra perché voglio costruire la mia identità in maniera sempre più… scientifica:

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Oggi anche i più sprovveduti sono diventati sensibili agli argomenti della comunicazione.

Oggi qualsiasi quotidiano ha delle pagine dedicate al design. Il design è visto come la moda, come un elemento che connota te e la tua casa, il tuo intorno più importante.

shooting LOVEThESIGN x Qeebooshooting LOVEThESIGN x Qeeboo

Questo, dunque, è il contesto in cui deve saper agire un designer. Ma cosa fa Qeeboo?

Ho lavorato per tanti anni con aziende importanti. Sono stato il primo designer di Alessi e di Magis. Poi, a un certo punto ho sentito il bisogno, in primis, di cambiare queste aziende – ma mi è risultato molto difficile, quindi di costruire una mia storia, una mia azienda. Credo sia un po' parte del percorso evolutivo di ogni designer. 

Un’evoluzione verso cosa?

Nel mondo della moda tutti gli stilisti hanno il loro brand personale. Ogni stilista si distingue per le sue scelte e un suo intorno che caratterizza lui e la sua marca. Anche se c'è un investitore dietro, è comunque lo stilista il responsabile dell'immagine dei propri prodotti. Nel mondo del design questo è avvenuto in rari casi.

Un riferimento?

Se andiamo a vedere le operazioni fatte da Marcel Wanders con Moooi o da Tom Dixon con la sua azienda, sono fra i più importanti successi degli ultimi 20 anni. Credo che questo bisogno costruire la propria identità attraverso un proprio brand sarà sempre più forte nelle nuove generazioni di creativi, sia all’interno del mondo del design, sia all’esterno.  

2 Sedie Ribbon
Sedia Ribbon
2 Sedie Loop con cuscino
Sedia per esterni Pupa
Sedia Pupa con gambe cromate
Sedia Pupa con gambe ottone

La plastica è un materiale democratico

Stefano Giovannoni parla spesso di identità. Di identità del consumatore, da sfamare. Di identità del designer, da costruire. Come la sua, ormai ben consolidata. Il Re Mida del design. O l’architetto: è questo il termine con cui il suo entourage fa riferimento a lui – tracciando con le parole un altro segno identitario.

Andrea BranziAndrea Branzi

Andrea Branzi descrive Qeeboo come il Dolce Stil Novo del design. Quando ho letto la definizione di Branzi ho pensato due cose: è una provocazione; finalmente del contenuto non autoreferenziale. Ma a cosa fa riferimento Branzi?

La mia interpretazione di questa definizione è legata al fatto che Branzi ha costituito diversi gruppi, diversi movimenti, dai Radicali in poi. Ma si è sempre trovato insieme ad altri uomini. In questo caso si è accorto che nel nostro gruppo c'erano diverse donne – Nika Zupanc, le Front – e ha notato come questa componente femminile determinasse un linguaggio espressivo diverso da quello esclusivamente maschile. Come nella Ribbon Chair di Nika Zupanc. Nika ha la capacità di esprimere questa femminilità.

Il Dolce Stil Novo – ieri sera ho controllato – abbandonò i versi grezzi per quelli dolci e armoniosi. Fu il ripudio delle forme artificiose e troppo aggrovigliate: è questo Qeeboo?

Branzi ha visto nel nostro immaginario qualcosa che può connettersi a un'ipotesi narrativa nuova. Un linguaggio che fa riferimento non più al lessico un po' tecnico e meccanico del design, ma a delle storie da raccontare. Un linguaggio più adatto a esprimere emozioni. Così è nata questa definizione: per la volontà di dare un nome alle cose.

Una nuova narrazione: come con la K Chair? Ho visto la presentazione in cui se ne parla come il futuro archetipo – in plastica – della sedia da cucina. Perché la plastica?

La plastica è anzitutto un materiale democratico, perché permette l'accesso al design a una fascia più larga di pubblico. Per esempio in Alessi la plastica è stata decisiva nella crescita del brand durante gli anni Novanta, perché ha veramente rivoluzionato il target dei consumatori di un’azienda leader nel mondo del design. 

Un gesto coraggioso.

Per la prima volta un brand affermato spostava la sua attenzione dall’adulto, dall’intellettuale, a un pubblico giovane. La plastica ha avuto il potere di creare un link con le nuove generazioni che hanno iniziato a collezionare quel tipo di oggetti. Nonostante fossero cari, erano comunque più accessibili. 

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Io mi sono battuto molto perché Alessi facesse questo passo in un momento in cui il marketing temeva di creare un problema di identità al brand.

È stata invece la mossa vincente, che ha permesso ad Alessi di triplicare il fatturato e di diventare l'azienda più importante anche per i numeri. 

LOVEThESIGN x QeebooLOVEThESIGN x Qeeboo

Perché la plastica è così importante?

La plastica iscrive il progetto in un vero circuito industriale. Ha in sé la logica del grande pubblico. Naturalmente comporta una professionalità molto più evoluta e un’esperienza maggiore: un conto è disegnare una sedia in legno che puoi fare con il primo artigiano sotto casa, un conto è disegnare un prodotto in plastica per il quale servono stampi in acciaio e investimenti di decine o centinaia di migliaia di euro. Cosa succede se non raggiungi il pubblico e sbagli l'operazione? Con la plastica si vede il vero imprenditore e la capacità di investire su un prodotto, su un'idea. Non su un oggetto dove non c'è alcun investimento, che tutti possono copiare dopo appena tre giorni.

Ma la plastica non inquina? Ho letto di critiche per aver sostenuto l’uso di questo materiale. 

Si fa molta confusione. Innanzitutto nel mondo dei consumi la plastica utilizzata per l'arredo è veramente un fatto microscopico. Pensiamo solo alle bottiglie in PET dell'acqua, di cui si farebbe molto facilmente a meno. Al di là di questo, ci sono alcune plastiche, come il PVC, che quando bruciano provocano fumi inquinanti. Ma la maggior parte delle plastiche di oggi sono materiali che bruciano benissimo e non lasciano nessuna traccia. Da un punto di vista dello smaltimento – ho parlato più volte con persone che se ne occupano – una buona plastica è veramente l'ultimo dei problemi. 

E poi va chiarita una cosa: che la plastica possa finire abbandonata nell'ambiente è un problema di educazione civica, non della plastica.

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Non fai quel video con due sedie di Magistretti
Leggi qui la seconda parte dell'intervista a Stefano Giovannoni
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