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Difficile negarlo: il nostro pianeta, negli ultimi anni, non sembra passarsela molto bene. La crisi finanziaria internazionale del 2008 ha solo aperto le danze e a distanza di 10 anni l’instabilità politica, economica e sociale continua a farsi sentire a tutte le latitudini.
Ero solo una bambina, eppure ricordo ancora i glitterati anni ‘80, parentesi felice del boom economico. È vivida la memoria delle feste, le risate, la musica dal sound inconfondibile, gli sfarzi, l’eccesso e l’opulenza sempre e comunque – dagli arredi d'autore all’albero di Natale alle spalline del tailleur di mia mamma.
Poi sono arrivati gli anni ‘90, scivolati lenti tra grunge e guerre, accompagnati da un calo di entusiasmo generale, senza grandi promesse in serbo per noi.
E ora che il primo ventennio del nuovo millennio si sta per chiudere, proviamo a tirare le somme sugli anni passati e su quello che ci resta in mano.
Protestiamo, ci lamentiamo: c’è chi lo fa in piazza, chi davanti a un computer, chi dal panettiere. E poi ci sono gli street artist e i maghi della grafica e della comunicazione visiva, che eleggono le arti figurative a mezzo espressivo per manifestare lo stesso disagio, dando una diversa forma al dissenso.
Hope to Nope, la mostra in programma dal 28 marzo al 12 agosto 2018 presso il Design Museum di Londra, è l’occasione ideale per esplorare i diversi metodi di comunicazione utilizzati nella propaganda politica nell’ultima decade.
Il manifesto-simbolo di questa mostra impegnata è stato realizzato da un pilastro della street art: lo statunitense Shepard Fairey, a.k.a. Obey. Lo ricorderai sicuramente per l'iconico manifesto Hope della prima campagna presidenziale di Obama.
Sfruttando il concetto di logo art, l’artista ha fatto di icone storiche della politica, della musica e del cinema il suo personale linguaggio, perfetto per veicolarne i messaggi in maniera rapida, immediata, indelebile.
Propaganda 2.0, se vogliamo: ma le opere di Obey sono una spinta alla riflessione su tematiche quanto mai attuali, come capitalismo, potere, diritti umani e uguaglianza.
La curatrice dell'esposizione, Margaret Cubbage, ha raccolto una selezione di opere incentrate sul tema della sovversione e dell'irriverenza verso il potere costituito. Molte sono firmate da Obey e riprendono alcuni degli eventi più turbolenti dell'ultimo decennio – non pochi, se ci pensi: dal crollo finanziario globale del 2008 alla Primavera Araba, dalla crisi dei rifugiati ai i risultati del referendum sulla Brexit, fino alle elezioni presidenziali americane del 2016.
Obey li ha trasposti in potenti messaggi grafici, studiando da vicino gli episodi e le modalità con cui è stata architettata la propaganda politica a riguardo, dai manifesti politici ai cartelloni di protesta fino ai meme (sì, anche questa è comunicazione).
In questo decennio, infatti, l’ascesa dei social media non è affatto secondaria. Il bacino di persone intenzionate a comunicare e a diffondere una propria idea di politica e a prendere posizione si è notevolmente ampliato, e la sensazione è che l'interesse per l'impegno politico sia sempre più forte – per fortuna.
Sugli stessi social, però, il sentimento collettivo fluttua tra sfiducia, disperazione e rassegnazione. In questo 2018 appena iniziato, ci troviamo già schiacciati in un panorama politico sempre più schierato tra destra e sinistra, con l'impressione di essere in balia di eventi inaspettati che tavolta rasentano il surreale, contro i quali il nostro impegno sembrerebbe davvero poca cosa.
Ma la storia ci insegna che tutto è ciclico – ed è una constatazione ben lontana dal voler essere consolatoria: è un invito a prendere posizione, per allontanarsi dal nope (no) e tornare all'hope (speranza) con consapevolezza. E allora mi sento di citare Gandhi: sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.
Hope to Nope: Graphics and Politics 2008-2018 sarà in mostra dal 28 Marzo al 12 Agosto al Design Museum, 238 Kensington High Street, Londra.
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