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Grafica e Politica in mostra al Design Museum di Londra

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Mi piace pensare che la prima parola mai pronunciata dall’uomo – e quindi forse la più istintiva – servisse per indicare casa. Certo, doveva suonare ancora piuttosto goffa, ma era sicuramente intenzionale, non più imprecisa.
Casa: il luogo sicuro dove tornare e dove ti aspetto, che divide con le sue pareti fisiche il sicuro dall’incerto, il punto di riferimento per eccellenza – inequivocabile. Non male come punto di partenza per un’avventura come quella del linguaggio.
Il linguaggio è uno strumento che nasce per soddisfare una richiesta precisa, quella di trasmettere informazioni. Per poterlo fare nel modo più coerente possibile, ha bisogno di essere preciso e univoco – cioè condiviso – non solo nelle sue sfumature ma anche nelle sue regole. L’uomo ha sempre avuto bisogno di stabilire un qualche accordo logico per poter essere compreso, inizialmente dalla sua cerchia ristretta e poi, man mano che gli orizzonti del suo mondo si allargavano, anche dagli altri.
Non è la lingua a essere innata nell’uomo, ma lo è il suo desiderio di relazionarsi e di comunicare, esattamente come avviene per ogni altro essere vivente: pensa all’ululare dei lupi o ai colori della velenosa amanita.
Per i tuoi antenati, parlare era un modo di descrivere quanto li circondava e di raccontarlo, un’alternativa a dipingere sulle pareti delle grotte – decisamente più pratico, in effetti, perché un discorso ha, tra i suoi grandi pregi, quello di essere facilmente trasportabile e raggiungibile.
Più l’uomo esplora, immagina e scopre, più gli orizzonti del suo mondo si allargano. Di conseguenza, anche gli orizzonti del codice che usa per descrivere questo mondo devono ampliarsi. È esattamente così che nascono parole nuove.
Che sia binge-watching o kebabbaro, una parola che prima non c’era nasce da un bisogno, quello di descrivere qualcosa e di indicarlo in modo inequivocabile. Una parola, quindi, tenta il più possibile di essere in linea e in aderenza con il mondo, soprattutto culturale, in cui viene inserita. O anche: di essere utile.
Tornando alle grotte, però, una delle teorie più accreditate è che i dipinti e le incisioni fossero anche – se non solamente – rituali propiziatori. Il loro scopo era dare forma a qualcosa che si voleva fortissimamente che accadesse ma che non era ancora successo e che, quindi, non esisteva ancora.
Sin dal principio, quindi, l’uomo ha sentito il bisogno di comunicare due cose: da un lato, il mondo che lo circondava e, dall’altro, il mondo che già cominciava a immaginare.
Se sulla realtà oggettiva la tendenza è mettersi d’accordo il più possibile per evitare di litigare per giorni interi, come nel caso del vestito oro e nero o blu e bianco – ma tu, poi, come lo vedevi? – su quello che si agita all’interno siamo ancora in alto mare. Pare che millenni di parole, scritte e pronunciate, non siano ancora stati sufficienti.
È ciò di cui si è reso conto John Koening, l’ideatore del Dictionary of Obscure Sorrows, letteralmente il dizionario delle tristezze indefinite, quelle che davvero, per quanto ti sforzi, non riesci a capire se le provi perché è una giornata no, hai dormito male o semplicemente sei una brutta persona.
Le parole di Koening sono nuove perché sono inventate – come d’altronde è ogni parola e il linguaggio nella sua totalità. Ma non sono assurde: vengono create da Koening secondo precise regole grammaticali ed etimologiche condivise e attestate, il che non fa di loro parole sbagliate, ma, a tutti gli effetti, parole nuove. Esattamente come è successo con petaloso.
Per dirlo con le parole di Paul Archer, il problema di design nasce da un bisogno.
Proprio come una parola, un oggetto di design è un tentativo di riempire un vuoto reale, per migliorare l’esperienza che l’uomo fa del mondo. E, quando ci riesce, la sua evidenza è tale che chiunque riesce istintivamente a farlo proprio.
Un buon oggetto di design è come una lampadina che si accende: ha la stessa carica di soddisfazione di quando esclami Ecco qual era la parola che stavo cercando!
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