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Sbagliare è umano, in Silicon Valley è quasi divino. Nella valle incantata dei progetti digitali, dove tutti sembrano nascere con in tasca l’idea che li farà diventare ricchi, fallire fa parte del gioco. Se non sei ripartito dal via almeno una volta non sei nessuno.
Molte startup falliscono, anzi, la maggior parte delle startup fallisce. Esiste un cimitero di idee geniali sulla strada per il quale programmatori, founders e venture capitalists bruciano carte di credito e si rovinano a Wall Street, nella speranza di essere famosi, un giorno.
Collapsed.co è la versione digitale di questo cimitero: una collezione di worst cases da cui non prendere esempio se si punta al successo. Perché il vero problema, nella cultura del mito del trial and error (una sorta di sbagliando s’impara) è capire quando è il momento di fermarsi e ammettere di aver fallito. Molte società che farebbero meglio a darsi per vinte e a liquidare, diventano invece Walking Dead: realtà ignorate dal mercato, trascinate da un ostinato imprenditore cui piace motivarsi pensando a Brad Pitt quando, prima di sfondare, faceva l’uomo sandwich per El Pollo Loco.
Poi c’è chi ha fallito, non una, non due, ma tante e tante volte e si è sempre rialzato, fino a trovare la sua strada. E quando questo momento arriva, come per qualsiasi vocazione della vita, lo senti che è la strada giusta.
Evan Williams fonda Odeo: una piattaforma di podcast bruciata in partenza da Apple che se ne è uscita in contemporanea con lo stesso servizio su iTunes. Sfonda in seguito con Twitter. Ma vista la pessima salute del social pennuto, possiamo dirci sicuri che non si tratti in realtà del suo secondo fallimento?
Reid Hoffman è uno dei fondatori di Linkedin e azionista di web companies di successo come Paypal e Airbnb. Ma prima di focalizzare la sua attenzione imprenditoriale sulla brillante tripletta lavoro - soldi - vacanze (quasi un percorso inferenziale!), ha invano tentato la fortuna con l’amore, creando SocialNet, un sito di dating e social network. Fortunato al gioco…
Momofuku Ando è il re dei fallimenti e della tenacia. Quest’uomo ha inventato il mercato dei noodles istantanei che costituiranno la dieta di milioni di junk eaters nel mondo. Prima di arrivare agli spaghetti pronti all’uso ha dichiarato bancarotta diverse volte, anche con un’azienda di merchandising. Nel 1948 ha scontato due anni in galera, dopo una condanna per evasione. Ricordiamoci di lui la prossima volta che ci perdiamo d’animo.
Akio Morita firma i primi prodotti a marchio Sony. Tra questi vogliamo ricordare la vaporiera per riso diventata famosa perché il riso lo scuoceva immancabilmente. Canta che ti passa, deve aver pensato, e da lì la folgorazione musicale.
Quello dello scrittore è tra i mestieri con il più alto tasso di fallimento, chi intraprende questa strada sa di doversi munire di una solida corazza anti-cadute e di tenacia, tanta tenacia. Ma è possibile averne più di quella mostrata da Arianna Huffington? Prima di lanciare l’Huffington Post la sua seconda fatica letteraria è stata rifiutata da ben trentasei editori.
Il percorso di Vera Wang, oggi celebre per i suoi abiti da sposa haute couture, è costellato di sogni femminili infranti. Vera è stata una pattinatrice artistica che per poco non è riuscita ad entrare nel team olimpionico. Questo primo fallimento le fa appendere i pattini al chiodo e la spinge a diventare caporedattore per Vogue, finché non viene licenziata e infine trova la sua strada per il successo come stilista.
Ma Vera Wang non è l’unica i cui sogni non siano stati compresi e supportati nonostante il loro potenziale. Prendiamo il caso di Fred Smith, fondatore diFedEx, il cui business model viene oggi citato come esempio di scalabilità e sostenibilità aziendale sui libri di testo di quasi tutte le facoltà economiche del mondo. Quando Fred Smith, ancora al college -ma con le idee già chiare sul proprio futuro-, presenta il suo progetto imprenditoriale in aula, non guadagna l’entusiasmo del professore e riceve un pessimo voto.
Dealroom, nel suo rapporto European Venture Capital Report 2016, riferisce che nel 2016 le StartUp europee hanno segnato un record: 16,2 miliardi di euro di raccolta capitali, pari al +12% rispetto all’anno precedente e +32% in termini di numero di deal. Per quanto riguarda la distribuzione per settori di attività, si parla soprattutto di servizi alle imprese (produzione di software e consulenza informatica, R&S), seguiti dalla produzione industriale di elettronica e macchinari e, infine, di commercio.
In Italia il 70% delle StartUp nate tra il 2012 e il 2015, sono di tipo innovativo. Tuttavia l’Italia resta del tutto marginale rispetto ai numeri di Francia, Uk e Spagna, soprattutto in merito alla sua scarsa capacità di attrarre investitori internazionali che si attesta come la più bassa in Europa.
Questi dati supportano la probabilità che gli imprenditori italiani, per quanto armati di bravura, determinazione e intuito, inciampino e possano cadere mentre danno forma ai loro sogni e cercano di emulare il successo delle ben note startup straniere (a far crescere i numeri dei capitali raccolti nel 2016 sono state soprattutto Spotify, Global Fashion Group, Jumia, Gett, Deliveroo, OVH, Payoneer, Skyscanner).
Negli ecosistemi di altri Paesi, a partire da quelli che confinano con l’Italia fino all’oltreoceanica Silicon Valley, le startup crescono a ritmi sostenuti grazie anche a strutture politiche, fiscali e burocratiche meno complesse di quelle italiane. La polemica in merito è quantomai accesa.
Non sono sempre e solo il coraggio dell’imprenditore e la sua resistenza ai colpi del destino a determinare ciò che decollerà e ciò che rimarrà un sogno d’innovazione infranto.
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