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La cultura delle 999 città: storie della storia del design italiano

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Ad accogliere il visitatore, in apertura sul sito della Frank Lloyd Wright Foundation, campeggia un’affermazione abbastanza forte:
Quel noi si riferisce agli Americani, e Wright è colui che riuscì a traghettarli dalle sponde dell’Ottocento fino alla piena modernità. Il tutto, facendoli sentire a casa.
Costretto durante l’infanzia a un semi-nomadismo per il lavoro del padre, giunto ai 18 anni Frank Lloyd Wright inizia a lavorare presso la facoltà di ingegneria dell’Università del Wisconsin, dove è anche studente. Dopo due anni, nel 1887, decide di trasferirsi a Chicago: quasi senza arte, sicuramente senza parte né laurea, prova a diventare architetto direttamente sul campo.
Dopo aver lavorato in due diversi studi, approda al prestigioso Adler&Sullivan. La prima casa che progetta interamente da solo è quella che costruisce per sé e la moglie: si concentra su forme e volumi, aggiungendo porzioni abitative man mano che la famiglia si allarga.
Avendone sperimentata la necessità sulla sua pelle, l’idea di una casa che tenga conto dei bisogni di chi la abita è proprio il fil rouge di tutta la ricerca di Frank Lloyd Wright.
Sempre in difficoltà economiche, comincia ad accettare commissioni fuori dal contratto stipulato con Sullivan. Scoperto, nel 1893 lascia lo studio e fonda il proprio: l’architetto senza laurea inizia così a progettare ufficialmente la casa perfetta per le pianure americane.
Realizzate in quello che sarà noto come Prairie Style (stile delle praterie), le case di Wright riflettono il profilo piatto e allungato dell’ambiente naturale: i tetti sono poco spioventi, le sporgenze accentuate, le finestre in sequenza esaltano lo sviluppo orizzontale della costruzione.
Non poteva però tradire la sua natura: incapace di rimanere nello stesso posto a lungo, nel 1909 Wright parte per l’Europa in compagnia di una sua cliente, Mamah Borthwick, di cui era innamorato.
Di ritorno a Chicago, nel 1911, la coppia viene accolta con freddezza. Wright decide perciò di trasferirsi nuovamente, questa volta vicino a Spring Green, e costruire una nuova casa-studio: la Taliesin. Nel 1914, perde in un incendio doloso parte della casa, Mamah, i suoi due figli e altre quattro persone. Wright decide comunque di completare il lavoro, ma abbandona poi il complesso per oltre dieci anni: di nuovo, sente di non poter restare.
Le commissioni che entrano sono poche; paradossalmente, però, sono proprio questi gli anni più creativi: anche grazie a un nuovo matrimonio, trova la stabilità per immergersi completamente nella ricerca architettonica, teorica e pratica, che diventerà fonte d’ispirazione per tutte le successive generazioni, e fondare la Scuola di Architettura alla Taliesin.
Nel 1936, quando ormai si credeva che la carriera di Wright avesse già offerto i progetti migliori, gli viene commissionato forse il suo lavoro più celebre: Fallingwater, la casa di campagna di Edgar Kaufmann, che celebra il paesaggio senza sovrastarlo, che s’impone all’occhio e allo stesso tempo sembra fluttuare leggera sopra le acque.
La volontà di creare la casa perfetta per gli Americani non si arresta: sono gli anni in cui sperimenta con lo stile Usoniano, figlio della crisi che gli Stati Uniti stavano attraversando, e che prova a proporre soluzioni abitative economiche e semplificate anche nell’estetica.
Dal canto suo, però, Wright non riesce proprio a mettere radici: assieme ai suoi studenti, realizza la gemella della Taliesin in Arizona, da usare come base invernale per le lezioni e i progetti. Sorprendentemente, riesce a coinvolgere tutti, professori, ricercatori e studenti, nella sua smania di nomadismo.
Come è riuscito, quindi, un architetto che ha abbandonato gli studi e così irrequieto da non riuscire a stabilirsi davvero in nessun luogo a progettare il modello della casa americana unifamiliare, rifugio sicuro e status symbol?
La risposta potrebbe sembrare quasi scontata: ricordandosi che una casa è abitata da persone. Il suo lavoro era orientato in modo organico - nella progettazione e nello sviluppo, nella scelta dei materiali e delle forme - proprio dal tentativo di recuperare il lato umanistico dell’architettura.
Con una carriera durata più di settant’anni, sempre in mutazione, aggiornamento e costante dialogo con i bisogni dei suoi tempi, più che con le mode, Wright è riuscito a creare qualcosa di più duraturo di qualche coppia di muri: un modo di pensare e di approcciarsi a un qualsiasi progetto, per renderlo eloquente e umano.
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