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Le Corbusier, pseudonimo dell’architetto franco-svizzero Charles Edouard Jeanneret, si è interessato a tantissime cose nella sua vita. In ciascuna di esse ha impresso un bagaglio unico di intuizioni e teorie rivoluzionarie.
Sempre un passo avanti a tutti, Le Corbusier amava spaziare da una forma d’arte all’altra. Della sua vasta produzione di architetto, urbanista, artista e designer emergono concetti fondamentali che ancora oggi rappresentano le linee guida dell’architettura moderna.
Si, Le Corbusier amava tutte le forme d’arte. Ma sopra ogni cosa amava i colori.
Nei colori riversava le sfaccettature della sua vena artistica, il coraggio delle sperimentazioni e l’audacia degli accostamenti inediti.
Il “pallino” di Le Corbusier per il mondo dei colori si è rivelato una vera benedizione per le successive generazioni di architetti e designer: in due distinte fasi temporali, 1931 e 1956, l’architetto ha creato la sua Polychromie Architecturale, un caposaldo cui ancora oggi si fa riferimento per la realizzazione di progetti basati sulla potenza espressiva degli accostamenti cromatici.
Chiamata anche Claviers de Couleurs (tastiere di colori), la Polychromie di Le Corbusier è una selezione di 63 sfumature abbinabili tra loro. Proprio come un maestro di pianoforte, con la sua collezione l’architetto franco-svizzero intendeva insegnarci come suonare le tastiere di colori e riconoscere gli accordi armonici.
Le 63 sfumature di Le Corbusier uniscono il rassicurante senso tattile alla carica emotiva del senso visivo: il risultato è un incredibile connubio di fascino ed equilibrio.
Il significato della testimonianza artistica di Le Corbusier, e ciò che di fatto la rende immortale, risiede nel concetto di sinestesia delle arti.
Nei suoi lavori si avverte sempre l’integrazione delle parti con il tutto: architettura, interior design e armonia cromatica si fondono insieme al pari di una travolgente storia d’amore.
La Polychromie è proprio questo: una storia d’amore in due riprese.
La prima tavolozza del 1931 comprende 43 colori tenui e poco saturi che Le Corbusier convoglia nella Grande Gamma, ossia i colori architettonici:
A queste cromie di base, il designer aggiunge toni neutri (1 bianco e 4 grigi) e alcune sfumature della Gamma Dinamica.
All’interno dei 43 colori, Le Corbusier identifica una serie di cartelle e attribuisce loro nomi che esplicitano l’intento di rimanere nell’ambito architettonico: Spazio, Cielo, Velluto, Sabbia, Muro, Paesaggio.
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Maison La Roche - Parigi - 1925 |
La seconda collezione del 1959 completa la Polychromie aggiungendo 20 colori dai toni più saturi, forti e brillanti. Sono i colori della Gamma Dinamica e della Gamma di Transizione: non hanno proprietà architettoniche, ma si ispirano a principi naturali, pittorici e puristi.
Maison De L'Homme - Zurigo - 1963/67 | W. Kandinsky |
Le Corbusier scriveva così nel 1931 a proposito del suo rapporto con i colori: ad ogni fase della vita corrisponde un colore che funge da eco della nostra anima.
Per un arco di 20 anni la fase dell’azzurro (e relative sfumature del verde) aveva donato all’architetto l’ottimismo e l’incoscienza di credere fermamente nelle sue idee luminose e rivoluzionarie.
Poi era seguita una fase più matura: sotto il peso della consapevolezza, egli aveva fatto uscire la grinta e lo spirito combattivo del rosso per portare avanti con rinnovato coraggio altre idee, altre teorie, altre rivoluzioni.
Ma cosa rendeva il colore così speciale agli occhi di Le Corbusier?
Una chiave di lettura ci arriva direttamente dalla saggezza degli antichi filosofi greci.
Aristotele, in particolare, sosteneva che il fine ultimo della vita umana è la felicità, intesa come realizzazione del proprio potenziale per giungere ad essere la migliore versione possibile di sé stessi.
Consapevolmente o meno, Le Corbusier si ispirava ad Aristotele. Dei colori riusciva a cogliere il potenziale, ossia la forza espressiva e la capacità di trasformare qualsiasi cosa - un oggetto, un arredo, una struttura architettonica, una parete – nella migliore versione possibile di sé.
Fateci caso. Gli scenari migliori, capaci di evocare sensazioni e suggestioni, sono quelli che rapiscono il nostro sguardo prima sulla visione d’insieme e solo in un momento successivo sui particolari, sui dettagli.
Con il colore vale lo stesso teorema. Arredare casa con l’uso dei colori è un’arte.
Ciò che per il pittore è la creazione della tavolozza dei colori, per l’arredatore di interni è la creazione della Moodboard, letteralmente “la tavola degli umori”.
In termini più tecnici, la Moodboard è l’evoluzione della palette dei colori cui fa riferimento l’arredatore.
La “tavola” raccoglie tutto ciò che per il designer può essere fonte di ispirazione per restituire l’atmosfera e lo stile di un progetto d’arredo.
La Moodboard è il concept visivo e tattile dell’identità di un progetto che sta per prendere vita.
Quindi non solo colori, ma anche immagini e oggetti che acquisiscono relazioni di senso dallo scambio reciproco.
Non c’è blu senza giallo e senza arancione, e se si aggiunge del blu, bisogna aggiungere anche del giallo e dell’arancione!
Queste fugaci e ironiche parole di Vincent Van Gogh ci fanno comprendere quanto il mondo dei colori possa diventare vorticoso se non lo si gestisce con un (minimo) prontuario di regole.
Se è vero – come afferma Le Corbusier – che fissare troppe regole limita la spontaneità, è altrettanto vero che non averne affatto può portare a caotiche improvvisazioni.
Questo discorso vale tanto per la pittura quanto per l’arredamento degli ambienti di casa.
I colori, gli arredi, la disposizione degli oggetti: ogni particolare deve essere gestito, calibrato e “provato” sul campo.
Ci viene in aiuto una metafora teatrale.
Arredare casa con i colori è un po' come preparare la scenografia di uno spettacolo.
Per trovare la combinazione vincente occorrono tante prove, aggiustamenti e correttivi.
Così come una rappresentazione va provata e riprovata per raggiungere l’alchimia tra gli attori, allo stesso modo l’alchimia della composizione d’arredo si trova spostando e rispostando mobili e oggetti, provando diverse combinazioni e accostamenti di forme, materiali e colori.
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Sedie Series 7 monocromatiche by Fritz Hansen |
L’allestimento del set implica la necessità di correre qualche rischio calcolato: pieni e vuoti, volumi e materiali, colori e sfumature si completano fino a trovare la quadra finale.
I dettagli fanno la differenza e possono trasformare una stanza anonima in un ambiente plasmato sulla propria personalità.
Qualche esempio?
Immaginate un’avvolgente poltrona in pelle dal colore profondo: accogliente e ospitale, vi invita subito a provarla. E cosa succede se bilanciamo la morbidezza della seduta con la forma squadrata e geometrica di piedi in metallo? La poltrona non perde il lato accomodante, che rimane la sua peculiarità, ma in compenso acquista carattere e personalità grazie ad un elemento di rottura che trasforma una poltrona come tante in un pezzo dal design unico e accattivante.
Allo stesso modo possiamo giocare a creare combinazioni tra la freddezza del ferro e la vivacità delle tinte primaverili, ad inserire lampade dalle forme sinuose, tavolini da salotto che sembrano usciti da una galleria d’arte o imprimere un tocco di fantasia in bagno grazie ad una mensola dalla forma insolita.
Proprio da Le Corbusier abbiamo imparato che un colore lasciato a sé stesso non potrà mai raggiungere il suo massimo potenziale. Il colore diventa “completo” quando è valorizzato e insieme contrastato da un altro colore o serie di colori che insieme a lui compongono l’armonia del tutto.
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