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Nata a Teheran da papà iraniano e mamma egiziana, la designer vive un’infanzia movimentata tra un paese e l’altro, con tappe a Cambridge, Massachusetts, dove assorbe la cultura Pop dai cartoni e i film della Disney.
Ma anche a New York, dove studia alla Parsons, poi alla School of Visual Arts; e poi durante le prime, importanti esperienze post-laurea a Parigi, dove tutt’ora risiede.
Il suo stile matura astratto e figurativo, esaltando una cultura nomade di cui il nido oggi è in Rue Las Cases, a Parigi, il suo studio di progettazione inaugurato nel 1999 come quartier generale.
Con una cultura naturalmente contaminata tra Oriente e Occidente, possiamo definire India Mahdavi una designer sensoriale. Estremamente scenografica, è in grado di regalare esperienze d’interior a 360 gradi, dal punto di vista tattile e visivo.
C’è un tratto unico nel suo lavoro: il colore. Pieno, vibrante, sfrontato.
Un imprinting velatamente anni Settanta e una palette di tonalità degna delle migliori pellicole di Wes Anderson, che lei ama scegliere nella gamma cromatica messa a punto da Le Corbusier: mattone, verde salvia, rosa cipria (o Millennial Pink, così ribattezzato dal Guardian). E ancora: ocra, giallo crema, azzurro polvere, verde bosco, ottanio – e poi rosso, bianco e nero, oro e bronzo per i contrasti.
La designer celebra un mondo cosmopolita, colorato, influenzato dal cinema d’animazione, dal design e dall’arte. Non è un caso che, quando le chiedono qual’è la scintilla che ha acceso la sua passione per i colori, lei risponda: i film della sua infanzia, cioè James Bond, Peter Sellers, Mary Poppins o Il Libro della Giungla del 1967. E, last but not least,
Una sola regola: usare almeno tre colori per stanza, e usarli ovunque, senza moderazione e senza gerarchie. L’unico modo per superare il timore di strafare con il colore è abusarne.
Ogni colore rappresenta un mood, e la scelta dipende strettamente dal significato del luogo. Per questo India Mahdavi sceglie tinte vivaci, che portano luce ed energia agli ambienti. Ad esempio per Sketch a Londra, il ristorante più instagrammato degli ultimi anni, il rosa monocromatico che copre pareti e mobili di stampo classico in velluto è stato scelto proprio per smorzare scherzosamente l’arte provocatoria e capricciosa dell’artista britannico David Shrigley, che espone nel locale ben 239 opere.
Il rosa, in particolare, è speranza: una promessa di felicità. Come per il RED Valentino Flagship Store di Londra, dove lo schema cromatico del progetto mira a trasmettere uno spirito energico e vibrante. Centosettanta metri quadri di atmosfera onirica, consistenze e materia a base di 3 colori: bianco, ocra e, appunto, millennial pink.
Ma c’è anche altro: prendi il progetto per La Durée a Ginevra, all'interno del lussuoso Hôtel des Bergues. Un nome storico con il merito di aver puntato i riflettori sugli ormai celebri macarons non poteva che scegliere, per affinità, un tratto come il suo: qui, il suo stile stravagante si traduce in una sorta di giardino dell’Eden della pasticceria, verde declinato in tutte le sue forme – e un suggestivo cielo stellato sulle pareti della sala da tè.
India Mahdavi, in realtà, dà pari importanza alla texture, e ama creare pattern materici, tattili, dal gusto geometrico per aggiungere tridimensionalità al colore. E non solo con tessuti, legno o metallo, ma anche con smalti, ceramiche, vimini o paglia.
Nel 2012, ha infatti aperto il suo negozio Petits Objets, al 19 di rue Las Cases (segnati l’indirizzo per il prossimo weekend a Parigi!), un luogo dove riscoprire e coltivare tecniche artigianali tradizionali.
In fondo, lo diceva anche Jonathan Anderson: il vero trend è proprio quello di riappropriarci del tatto, e riscoprire poco a poco il mondo in punta di dita. Magari dietro un paio di lenti rosa.
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