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Buona la prima, si dice, ma nel caso di questi quattro architetti non è andata esattamente così. Allora riproviamo: da qualche parte bisogna pure iniziare. Meglio, decisamente meglio.
Forse è consolante sapereche nessuno ha mai realizzato il progetto perfetto al primo colpo, nemmeno chi ha poi continuato a costruire e ne ha fatto una carriera piena di successi. Nonostante gli inizi faticosi, questi architetti non si sono arresi: impara da loro la perseveranza e ad ammettere gli errori.
Certo, se poi non ne sei proprio convinto, puoi sempre far intervenire un paio di bulldozer.
Designer e architetto, tra i più importanti fautori ed esempi del gusto scandinavo, Alvar Aalto ha iniziato la sua carriera nell’architettura sistemando… la casa dei genitori.
Mentre era ancora uno studente, nel 1918, decise di rinnovare un cottage nella cittadina di Alajärvi. Ne sistemò gli spazi interni, ma è in un’aggiunta esterna che espresse il primo distacco dalle norme dell’architettura classica. Come copertura per la veranda, realizzò un frontone supportato da colonne che mantenne arretrate rispetto alla cornice, con un effetto a sbalzo molto pronunciato.
Purtroppo, di questo primo progetto non rimangono né prove fotografiche né bozzetti preparatori. La casa fu demolita nel 1950, quando, per poter attivare un cantiere, la città di Alajärvi chiese il permesso di spostare il cottage in un altro punto per preservarlo. Aalto, invece, appoggiò lo smantellamento - una vera e propria damnatio memoriae. Sarà stata così brutta?
Anche il grande architetto americano Frank Lloyd Wright ha iniziato costruendo una casa - la sua.
A 22 anni, senza una laurea, firmò un contratto quinquennale con lo studio di Louis Sullivan. Al proprio superiore fece subito una richiesta: un prestito di 5000 dollari per poter metter su casa con la moglie.
Nel senso che decise di realizzarla da zero, senza mai averne fatte prima. Scelse la zona di Oak Park, appena fuori Chicago, e comprò un appezzamento all’incrocio tra due strade. Qui innalzò una casa dai volumi strani, rivestita in scandole e con un tetto molto spiovente che sembrava sospeso oltre l’appoggio, proprio come nel cottage degli Aalto.
Un lavoro lontanissimo dal gusto poi iconico di Wright, e uno spazio a cui non smise mai di mettere mano, su cui concentrò le sue attenzioni e che riempì con sei bambini.
Non si sa come Kahn abbia ottenuto il progetto, non c’è un documento ufficiale che attesti la commissione, non esistono fotografie che ne immortalino la realizzazione prima di alcuni interventi di manutenzione.
Si tratta della sinagoga Ahavath Israel, realizzata per le comunità dell’est Europa di un quartiere a nord di Philadelphia, città dove a soli cinque anni era emigrato Kahn con la sua famiglia estone.
È il primo lavoro che Louis Kahn realizza completamente da solo: il progetto del luogo di culto si concretizza (sic) in un severo parallelepipedo di mattoni dal sapore industriale, privo di qualsiasi ornamento, a parte qualche finestra che si apre qua e là. L’unica cosa certa? Un budget ridottissimo. Si fa quel che si può.
Per fortuna il primo progetto di Le Corbusier è nascosto da qualche parte sulle Alpi Svizzere: non credo ne andasse molto fiero.
Uno dei suoiprofessori, L'Eplattenier, suggerì al collega Louis-Edouard Fallet, che aveva espresso il desiderio di una casa-rifugio sulle montagne, di rivolgersi al diciassettenne Jeanneret (che sarebbe più avanti diventato Le Corbusier) per la realizzazione del progetto.
In coppia con Chapallaz, che aveva da poco aperto uno studio a Chaux-de-Fonds, Jeanneret si dedicò alla costruzione della casa. L’idea era sua (anche la decorazione policroma esterna che dovrebbe richiamare… le pigne), la cura dei lavori era sua, coinvolse i compagni di studi per realizzare gli ornamenti interni - ma non venne pagato neanche un franco da Chapallaz, che intascò la commissione. Ahia.
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